Esposizione Henjam al Castello del Catajo

Il castello del Catajo,  splendido palazzo cinquecentesco dal bellissimo parco e dai saloni affrescati ricchi di storia e leggende, ospiterà dal 29 aprile fino al 12 maggio un’esposizione di opere Henjam, in occasione della rassegna Emergere in Arte che vedrà altre mostre prendervi vita nei prossimi mesi.
Siamo a Battaglia Terme sui Colli Euganei in provincia di Padova in una location davvero eccezionale. Si tratta di una delle dimore storiche europee più imponenti e monumentali: villa principesca, reggia e salotto letterario, di qui sono passati nei secoli nobili e artisti di tutta Europa.

In queste stesse stanze Henjam ha il piacere di presentare la sua produzione artistica più recente, con qualche excursus verso opere passate ma collegate ad esse per stile e poetica e una digressione riguardante le ultime sculture lignee di Alberto Festi.

Il nucleo centrale dell’esposizione è costituito dalle opere della serie Limes (2017).
Questi grandi dipinti su juta in cui il dialogo fra mondi inconciliabili sembra sempre sul punto di realizzarsi sono in realtà intimamente legati alle opere su juta del 2003.
Oltre al supporto e alla tecnica esse partecipano infatti della stessa capacità evocativa nel creare mondi sospesi tra il presente e l’attesa.
Anche qui come in Limes il passaggio non si realizza mai, ma l’universo resta più nudo e metafisico, mentre le più recenti immagini di confine ostentano materia e carnalità.

Oceano (2017) è un’opera a sé. Questo dipinto grandioso prende le sembianze di una scultura tanto è abitato da un movimento ondoso tridimensionale, a sua volta contenuto dall’acciaio immoto della cornice, in una costante tensione che sembra non risolversi mai.

Se Oceano è il movimento, La Madre rappresenta le radici.
Quest’opera monumentale del 1994 segna l’inizio della collaborazione artistica tra Alberto Festi e Matteo Tonelli. La tensione qui corre da un riquadro all’altro, creata da quello stesso attrezzo che serve appunto a tendere i filari delle viti,  ripetuto per 24 volte con tecniche diverse in altrettanti dipinti cuciti su juta.

E proprio la tensione, assieme alla capacità evocativa, è il secondo polo su cui ruota l’esposizione.
Le ultime sculture di Alberto Festi (2018) completano in questo senso il discorso sull’energia potenziale racchiusa nell’opera d’arte. Potenti, immediate e intense raccontano una realtà dall’evidenza che sorprende per la sua purezza e bellezza assoluta.

La visita al castello e all’esposizione vi emozionerà. La sintonia tra il fascino un po’ decadente dei locali che la ospitano e il potere evocativo di queste opere è davvero perfetta.

Il castello è aperto nei pomeriggi di martedì, giovedì, venerdì e domenica dalle 15 alle 19.

A. F.

 

 

Opere Patafisiche

di Matteo Tonelli (dal 1994)

Le opere patafisiche sono inizialmente state concepite per rappresentare le vicende letterarie dei personaggi dissennati di Alfred Jarry, commediografo e scrittore francese vissuto nella Parigi di fine ‘800, inventore della “scienza delle soluzioni immaginarie”.
La patafisica è una sorta di sub-filosofia totalmente dissociata da supposizioni razionali dove non conta il contesto generale con le sue regole comuni ma il particolare con le sue eccezioni.
Secondo Jarry l’essere umano vive nella tensione continua e nello sforzo di mettere ordine in un universo che è in realtà irrazionale e privo di significato.
Questa breve introduzione molto sintetica credo sia necessaria per accedere con il giusto spirito a questi lavori definiti per l’appunto patafisici, eseguiti senza una precisa collocazione temporale ma in momenti particolari, dove la mente riesce a svincolarsi da schemi intellettuali e formali e viaggia libera nel mondo delle indefinite possibilità.
Dopo Le strampalate vicende del padre Ubu e del dott Faustroll, si sono aggregati in questa poetica narrativa altri lavori quasi sempre suggeriti da suggestioni letterarie: opere patafisiche sono infatti il Don Chisciotte o il Pinocchio ma anche Der Onkel che non ha in realtà alcun referente letterario.
Mi è successo a volte di iniziare un lavoro pensando di essere in un momento di grazia patafisica ma ho dovuto interromperlo perché la sensazione era sbagliata e il dipinto si trasformava in un guazzabuglio di segni senza significato. Le opere patafisiche sono infatti solo apparentemente governate da un disordine compositivo, ma in realtà sono la proiezione di un orizzonte mentale al di là della logica.
Vietato barare: non basta chiudere gli occhi, bisogna mandare in apnea la razionalità. Il lavoro patafisico non nasce infatti dal nulla, ma è l’ultimo tratto di un percorso che non può essere determinato a priori.
E’ una grande conquista di libertà e una sorta di autoanalisi portata a termine con successo l’ultimazione di un’opera patafisica, che può impiegare poche ore o anni.
Certo è facile comprendere che nutro un sentimento di particolare affetto per questi lavori perché rappresentano per me una sorta di radiografia dell’inconscio.

 

Sequenza esecutiva di Varco

La descrizione di questo dipinto non può che essere un dialogo. Un incontro, uno scambio e di conseguenza un legame.
Un ricordo è per definizione un legame, quello tra il presente e il passato e quest’opera affonda le radici nel passato per far germogliare qualcosa che non c’è.

Ogni giorno tornata da scuola una volta poggiata la forchetta a conclusione del pranzo consumato col pensiero che già si precipitava giù per quelle scale, ogni volta, aperta la porta, per un attimo affacciata alla ringhiera Antonella guardava verso il basso quelle piastrelle rosse che sembravano cosi piccole là in fondo illuminate dalla luce del cortile.
Era quello il suo momento e iniziava sempre con quella discesa di corsa, mentre sfiorava con le dita il corrimano come trasportata dalla spirale di uno scivolo girava attorno a quel punto rosso che si faceva sempre più grande, la luce del cortile sempre più intensa le stringeva le palpebre come un diaframma che s’imposta per un’immagine perfetta: fuori.
Liberarsi, togliersi di dosso la tristezza e i pensieri come polvere, respirare aria limpida per riaversi come, nell’orto, sedano croccante dopo la pioggia.

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Questo racconto è qualcosa che non c’è, qualcosa che esiste unicamente nella dimensione poetica di ciò che è solo immaginabile, ma proprio per questo perfetto.