Knot here

“Knot here” (90x12x18 cm) – Legno di larice e corda

Knot here

L’idea che è alla base di questa scultura è quella di trattare un materiale in modo che possa acquisire delle caratteristiche che normalmente non gli sono peculiari.
Dare al legno, in questo caso, una malleabilità e una morbidezza che per natura non possiede può a mio avviso generare grande bellezza.
Non è bellezza che deriva dalla forma e nemmeno dal significato, ma è bellezza che nasce dalla discrepanza tra quello che la nostra mente legge nella realtà e quello che interpreta come in contrasto con essa. E’ bellezza che genera poesia sotto forma di espansione della realtà stessa.
Ma non c’è solo questo. Quello che rende ai miei occhi questa piccola scultura speciale non è solo il riuscire a dare a un materiale proprietà che sono tipiche di materie più flessibili. Questo è infatti un procedimento comune nella scultura, che spesso mima in modo mirabile panneggi, vesti e veli partendo da materiali rigidi come il legno o il marmo.
Ma qui c’è di più, qui c’è la tensione. Non si tratta infatti di imitazione statica: quello che è riprodotto è un moto, una forza che esce infine dall’interno stesso della materia per affiorare in superficie.
È azione della materia stessa che si vuole altra da sé.

Knot here

Knot here

Knot here

 

Ombre spiccate

Se un’ombra scorgete, non è
un’ombra – ma quella io sono.
Potessi spiccarla da me,
offrirvela in dono
(“Ciò che di me sapeste” – Ossi di Seppia, E. Montale)

Donare un’ombra. Sembra una cosa assurda, impossibile e, agli occhi dei più, soprattutto inutile. Eppure.
Eppure la propria ombra è alla fine tra le cose che ci definiscono meglio: è il nostro contorno, una specie di involucro che ci corrisponde nei minimi dettagli, ma di cui non si distingue il contenuto, esso si può solo intuire e forse è proprio quello il bello.
Donare la propria ombra può quindi essere un gesto di grande intensità, corrisponde a dare la possibilità di mettersi per qualche istante là dove ci si può sentire davvero al posto di qualcun altro e diventa allora un’esperienza unica.

Per mettervi nei nostri panni, camminate guardando i video seguenti sul vostro smartphone


Oppure provate l’esperienza dal vivo alla prossima esposizione delle opere Henjam.

ombra henjam

ombra henjam

(a breve maggiori informazioni)

Throw me

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“Throw me”, il messaggio insito nei sanpietrini, quando sono avulsi dalla loro funzione più consueta di pavimentazione stradale, sembra essere di per sé, in quanto oggetti pesanti, spigolosi, che stanno in una mano, quello di venire lanciati.
Proprio per questa loro essenza non si tratta mai di un lancio neutro, bensì di un gesto distruttivo, violento.
Quello che le tre parti di questa scultura invitano a fare è per l’appunto un gesto forte, brutale: è infatti un’incitazione alla separazione di solo ciò che da unito ha un senso.
E sono proprio le parole che incitano alla separazione dei tre blocchi di porfido, suddivise foneticamente nei suoni che le compongono, a renderli di fatto inseparabili.
Si è costretti dunque a scegliere tra obbedire a un impulso che risponde a uno scopo, a una funzione, seppur feroce, che comporta però una totale perdita di senso e il mantenimento del significato.

 

io tu

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“io tu” prosegue la riflessione sull’io, sul nostro essere allo stesso tempo interni a noi stessi ed esterni attraverso il nostro riflesso nell’altrui sguardo.

L’io non si interroga qui sulla sua posizione lungo l’asse temporale della dimensione artistica quanto piuttosto sul dove porsi rispetto ad essa.
Io è l’artista ma è anche chi fruisce dell’opera e a quel punto la differenza tra io e tu diventa soprattutto una differenza di punti di vista: leggendo “io” si è dentro l’opera, leggendo “tu” se ne è al di fuori, si diventa estranei.

La continuità visiva tra le due lapidi è anche continuità semantica e sottolinea l’ambiguità dell’io nell’opera d’arte.

 

IO

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Alla base di questo lavoro c’è una mia riflessione sulla differenza semantica tra memoria e ricordo.

Mentre il concetto di memoria riporta a un punto più o meno definito sulla freccia del tempo, il ricordo ha invece una matrice poetica che sembra porlo al di fuori della dimensione temporale trasformandolo in emozione, sentimento.
L’interrogativo cui l’opera risponde è se sia possibile trasportare anche il presente in quella stessa dimensione, farlo diventare ricordo, pur mantenendone l’attualità.

E cosa è più rappresentativo del presente dell’IO, in cui viviamo ogni momento il nostro essere qui ed ora? Ma IO è anche tutto il passato che ha portato ad essere quello che si è, è inscindibile da tutto ciò che è stato prima.
IO è dunque già di per sé la risposta che cerca una forma.

Ho cercato di far assumere al presente i contorni del passato rappresentandolo come reperto archeologico. Un IO che si vuole conservare in tutto il suo spessore storico è già ricordo, ai miei occhi.

In quale altro modo si può modellare la profondità dell’individualità che cerca di uscire dal tempo? quale altra forma può prendere questo IO che si vorrebbe partecipe di una dimensione poetica e proprio per questo intemporale?

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Sequenza esecutiva di Varco

La descrizione di questo dipinto non può che essere un dialogo. Un incontro, uno scambio e di conseguenza un legame.
Un ricordo è per definizione un legame, quello tra il presente e il passato e quest’opera affonda le radici nel passato per far germogliare qualcosa che non c’è.

Ogni giorno tornata da scuola una volta poggiata la forchetta a conclusione del pranzo consumato col pensiero che già si precipitava giù per quelle scale, ogni volta, aperta la porta, per un attimo affacciata alla ringhiera Antonella guardava verso il basso quelle piastrelle rosse che sembravano cosi piccole là in fondo illuminate dalla luce del cortile.
Era quello il suo momento e iniziava sempre con quella discesa di corsa, mentre sfiorava con le dita il corrimano come trasportata dalla spirale di uno scivolo girava attorno a quel punto rosso che si faceva sempre più grande, la luce del cortile sempre più intensa le stringeva le palpebre come un diaframma che s’imposta per un’immagine perfetta: fuori.
Liberarsi, togliersi di dosso la tristezza e i pensieri come polvere, respirare aria limpida per riaversi come, nell’orto, sedano croccante dopo la pioggia.

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Questo racconto è qualcosa che non c’è, qualcosa che esiste unicamente nella dimensione poetica di ciò che è solo immaginabile, ma proprio per questo perfetto.