Limes 2017
Le opere della serie Limes segnano il ritorno alla pittura di Henjam. E’ ancora la juta che torna a fare da schermo tutt’altro che neutro a delle visioni che si definiscono appunto “immagini di confine”.
I soggetti di queste opere non possono prescindere dal supporto utilizzato, materia grezza, fortemente corporea su cui il colore si stende leggerissimo, spirituale e quasi immateriale.
Il Confine qui è concepito più come linea da attraversare che come separazione e divisione tra due mondi distinti. Quelli rappresentati non sono infatti dei limiti che definiscono ma delle frontiere che lasciano passare e fanno conversare tra loro mondi apparentemente inconciliabili.
Se si dovesse trovare una patria elettiva per queste opere visionarie essa sarebbe senz’altro Despina, la città che Calvino disegnò al confine tra due deserti e che appare sotto forma di cammello a chi viene dal mare e come nave a chi viene dal deserto.
Anche nelle opere di questa serie ciò che affiora è il desiderio. Desiderio soprattutto di completezza, di fusione dell’inconciliabile, di unione di corpo e di spirito.
La simbologia è evidente in “Limes Opera Iª” (240×194 cm) dove una cattedrale monocroma ed eterea fa da sfondo e si intreccia con un campo da gioco, in cui in palio non vi è nulla di spirituale.
La carnalità esce più prepotente ancora in “Limes Opera IIIª” (240×135 cm) dove delle carni da macello espongono la loro cruda corporeità attraverso una rete da cantiere. Questa membrana si abbassa ma lo spettatore ne resta al di fuori, vicino abbastanza per avvertirne gli effluvi sanguigni, ma estraneo ad essi.
Il cantiere, simbolo dell’azione tanto cara a Henjam, torna anche in “Limes Opera IVª” (253×135 cm) , dove la struttura di un edificio industriale in costruzione si erge in forma di cimitero costellato di croci, di fronte e quasi in affronto alla vita che lì accanto sembra osservare senza ancora poterlo davvero fare.
La spiritualità nella sua forma materiale dell’effigie religiosa riappare infine nella “Madonna del Gelato”( Limes Opera IIª – 200×136 cm) in cui il confine tra l’evanescenza di ciò che si vuole ultraterreno si scontra fin quasi a fondersi con uno dei simboli più intensi del godimento sensoriale: il dolce zuccherino di un gelato, la freschezza che svanisce sciogliendosi sul palato.
La prima opera di questa serie., una sorta di “numero zero” è però “Limes – Inceptum” (190×135 cm), l’inizio.
Come immaginare l’inizio di un confine?
Se esiste esso non può essere che trasparente, come lo sguardo di due ombre che si affacciano da una vetrata che dà sul vuoto.
Se esiste l’inizio di un confine, esso è anche la sua fine.