Tra le sue creazioni pittoriche più rilevanti ci sono le due grandi tele del 1995 eseguite con tecnica mista che rappresentano proiezioni di figure umane durante una notte di luna piena.
Senza Titolo I (160x110cm)
Senza Titolo II (200x120cm)
E’ un processo di illuminazione dell’oscurità quello cui qui si assiste: il buio della notte cede il passo alle tinte luminose dello sfondo, su cui quelle che erano ombre si accendono ora come bagliori che guizzano, incuranti della loro fissità e bidimensionalità.
È luce su luce che cerca la sua profondità nel gioco delle linee spezzate sui due piani (orizzontale e verticale) lungo i quali la figura si sviluppa.
Di epoca successiva sono le sculture lignee Mirror del 2009 e Cuoreglande del 2010.
La prima, Mirror (140x40x25 cm), in legno di acero dipinto con terre, rappresenta il ritratto della figlia Wanda. E’ un istante fissato in uno specchio, lo stesso in cui la bimba si riflette per ammirarsi mentre indossa gli abiti della madre.
Il non finito di parte della scultura da cui la bimba sembra uscire rende ancor più eloquente l’immagine di chi, imitando quello che è il suo modello per eccellenza, ambisce ad essere un sé più grande, più compiuto, perfetto.
La seconda, Cuoreglande (2010), in legno di pero e vetro misura 42×26 cm (misure della teca di vetro). E’ la copia esatta di un cuore di vitello preso a modello al macello.
L’ assimilazione della forma del cuore a quella del glande nasce dalla repulsione verso il maschilismo prevaricatore: il cuore, scolpito con incredibile cura, è posto con altrettanta attenzione sotto vetro, quasi a proteggere il sentimento dalla prepotenza della pulsione sessuale presente in certo machismo.
Altre opere di periodi posteriori costituiscono invece riflessioni sul tempo, sul cambiamento di stato e sulla persistenza dell’azione.
In Vaso spezzato e in Tazza spezzata, entrambi del 2012, il momento viene fissato negli effetti più devastanti di un’azione violenta, a sottolineare quanto questi possano continuare nel tempo ben oltre la sua attualità visibile.
La serie dei marmi del 2011 invece ruota attorno all’idea che quelli che si presentano come miglioramenti siano in realtà sempre discutibili.
Alto e basso, arcaico e moderno, prezioso e fallato, bene e male diventano principi opinabili, soggetti alla sfera di valori in cui li si vuole inserire, spesso alterata da preconcetti che vengono qui messi in discussione.
Update (40x30x2 cm) in marmo di Carrara e ferro e Upgrade (40x30x2cm) in marmo di Carrara, sodalite blu e resina epossidica pongono l’accento sul contrasto tra la modernità del concetto tecnologico di passaggio a uno stadio di sviluppo superiore e l’antichità del materiale, che non a caso è quello usato per le pietre tombali.
La volatilità di parole di solito digitate su una tastiera prende qui la forma dell’incisione che ambisce all’immortalità, mentre gioca con l’idea della morte stessa, vista idealmente come passaggio ad un livello superiore.
Lo stesso gioco di rimandi e significati è presente in Download (0,5x10x0,5cm) in marmo Verde Guatemala, foglia d’oro e resina epossidica e in Canc (15x10x1,5 cm) in marmo Travertino Noce e resina epossidica.
Download, che doveva essere esposto in una chiesa come i due precedenti, suggerisce l’idea della possibilità di scaricare “in locale” un’eternità da realizzarsi in quel Now inciso e dorato che si vorrebbe prezioso e immanente. Spazio e tempo si illudono così di essere realtà significanti.
Canc (marmo travertino noce e resina epossidica 15x10x1,5 cm) risponde all’umano anelito a poter invertire, ove necessario, la freccia del tempo. Ma entropia insegna che ciò che è stato inciso a scalpello molto difficilmente potrà essere riportato allo stato originario.
Stessa ispirazione per Mela-zeta, la combinazione di tasti che su Macintosh permette di tornare indietro passaggio per passaggio fino a uno stato iniziale presumibilmente migliore rispetto all’attuale.
Il marmo di cui è costituito proviene dalla dismissione di una chiesa e del suo tabernacolo e il suo aspetto, che richiama nel colore e nelle venature quello degli insaccati (pure i simboli blu dei tasti fanno pensare al modo in cui essi vengono marchiati), fa sì che in quest’opera si uniscano ancora una volta, oltre che la fissità del materiale inerte per eccellenza e il desiderio di un movimento lungo un asse temporale, più in generale lo spirito e la carnalità.
Il discorso sul tempo prosegue nella piccola (23x13x0,3 cm) riproduzione in marmo e resina epossidica di un Biglietto di carta strappato dagli anelli del blocco (2012).
Il più temporaneo dei messaggi, fatto di parole che si esauriscono in una funzionalità che ha senso solo nel presente più immediato, viene qui immortalato su un supporto potenzialmente imperituro, la cui durata eterna è sottolineata anche dal testo stesso, che suggerisce un’attesa indeterminata.
In Defekt (marmo, rosso cadmio, resina epossidica 45×28 cm) invece la riflessione si sposta sui concetti di pregio e difetto.
Il valore non è un dato assoluto, la preziosità non deriva solo da quello che c’è ma anche e soprattutto da ciò che manca.
L’uso del termine tedesco, che significa anche guasto, avaria, mette l’accento sul malfunzionamento, sul fatto che qualcosa non è andato per il verso giusto.
Ma un peggioramento può essere ugualmente fonte di grande bellezza così come una mancanza (il termine deriva dal latino deficere, che significa anche “essere privo”) può diventare presenza vivida e la cosa più preziosa che si ha.
Del 2017 è la serie di sculture in cui l’individualità dell’artista e del fruitore dell’opera si interpellano sulla loro posizione nel tempo e nello spazio, sull’estetica della memoria, sull’ambiguità e la complessità dell’io nell’opera d’arte.
IO (marmo e acciaio 47 x 38 x 5 cm) è un opera che mira a trasportare il presente nella dimensione emotiva del ricordo. E’ quindi l’emblema stesso di quello che viene sempre vissuto come attuale, pur non perdendo la propria storicità, ad essere rappresentato sotto forma di reperto archeologico: l’io.
io tu (marmo e acciaio (25 x 8 x 5 cm installata) costituisce una riflessione sull’essere allo stesso tempo interno ed esterno a se stesso dell’individuo. L’osservatore è posto di fronte all’evidenza che la differenza tra io e tu è solo questione di punti di vista: leggendo “io” si è dentro l’opera, leggendo “tu” se ne è al di fuori, si diventa estranei ad essa.
Ice (marmo, foglia d’oro, resina epossidica, ottone e legno per i supporti): la versione dell’opera in piccole dimensioni prende le sembianze di un oggetto prezioso da conservare in scrigno o nicchia quasi a sottolineare che la continuità semantica tra io e tu va preservata e custodita come gioiello.
In throw me (porfido 10 x 35 x 10 cm installata) l’accento è posto sulle contraddizioni dell’essere uno e molteplice al tempo stesso, sulla perdita di senso derivante dalla scissione e dalla separazione.
Il 2018 è l’anno del ritorno al legno.
Le nuove sculture segnano infatti la rinnovata passione per la plasticità: la materia torna ad essere duttile tra le mani dell’artista e il legno viene modellato ora sotto il segno della tensione.
In Knot Here (legno di larice e corda – 90x12x18 cm) quello che è riprodotto è un moto, una forza che esce dall’interno del legno per affiorare in superficie. È azione della materia stessa che si vuole altra da sé.
Senza Titolo (legno di larice – 153x26x3 cm): qui la tensione si concretizza in un atto gratuito, in un’azione immotivata che proprio in quanto tale possiede una forza direzionale incredibile: l’artista deforma la materia e lo fa con tutto il peso del suo corpo, quello vero e quello ideale.
Nodo (legno di larice e corda – 23x18x10 cm) sono tre gli intrecci che suggeriscono la possibilità di potersi estendere oltre. Anche qui la vera essenza dell’opera risiede nell’energia che da essa sprigiona, quella di un gesto che richiede una forza immane per riuscire a piegare su se stesso un materiale ostile ma il cui risultato è qualcosa che al contrario è estremamente leggero e delicato, come il fiocco che quell’energia la trattiene.
Cheek to cheek (legno di larice e filo da sutura – 150x15x3 cm): non esistono solo forze centrifughe, in realtà il nostro universo è costruito per lo più da forze il cui verso mira all’unione. Così ciò che è stato un tempo separato può ancora sperare di ricongiungersi e ciò che si è nel frattempo perduto diventa l’abisso in cui affondare per ritrovare se stessi.
In Cheek2Cheek2 (legno di larice, filo di cotone, acciaio e ottone – 53 x 13 cm diametro della base) la tensione all’unione diventa danza, la divisione non genera dolore ma leggerezza. Il movimento rotatorio della combinazione perfetta di legno e acciaio, assieme all’aspetto aereo di tutta la struttura sembra suggerire che il peso è solo un’informazione e che la gravità non è poi così grave.
Lo studio del trattamento della materia continua nelle sculture successive.
Senza Titolo II (legno di larice 108x23x32 cm) e Senza Titolo III (legno di cirmolo e pinza
82x18x19 cm) trasformano il legno in materia che può sciogliersi e plasmarsi mollemente, quasi stesse seguire le direttrici fluide che della linfa che un tempo la irrorava. Nella prima sono le venature contrastate del larice a indicare le linee di scorrimento di quest’energia in movimento, nella seconda la morbidezza del legno che diviene a tratti traslucido quasi fosse cera.
In Eraora (legno di larice e mazza da 2500 gr. 58x54x17 cm) la tensione si trasforma in energia non ancora dissipata, attraverso un impatto di cui si percepisce ancora la potenza inesplosa.
Eraora II (legno di larice e mazzetta da 800 grammi – 153x10x15 cm) rivisita lo stesso tema attraverso una forma la cui eleganza e leggerezza accentuano ancor più, se possibile, l’assurdo che esplode nella materia generando Bellezza.
In Attesa (legno di larice e corda 110x13x13 cm) la forza direzionale diviene stretta asfittica, dando vita a una forma che si realizza nella ritenzione del sé.
Rescue (legno di larice 113 x 28 x 6 cm) prosegue questo studio imprimendo nel legno tutto il peso di un veicolo che lascia traccia della violenza con cui è passato sul terreno.
Sempre del 2018 è Persona (legno di acero 60 x 30 x 10 cm) che è al tempo stesso la sua maschera. È infatti una forma in negativo e in quanto tale suggerisce implicitamente di poter essere indossata, fatta aderire al volto di chi la osserva. Questa evidenza però non si realizza, sia perché è offuscata dall’illusione ottica che fa percepire al nostro cervello delle forme convesse, sia per quegli occhi chiusi che impediscono qualunque tentativo di visione oltre la membrana ineluttabile che ci separa dal mondo.
Per scoprire tutte le opere più recenti di Alberto Festi, potete andare direttamente sul suo sito sezione Opere